Labadze, vero genio e vera sregolatezza
Inserito il 29 giugno 2006 22:59 da Redazione in Editoriali
Per raggiungere le vette della classifica ATP ci vogliono tanto allenamento e tanta fatica; sarà così, ma il georgiano Labadze, nonostante la sua natura poco atletica, riesce sempre a stupire.
Te lo ritrovi a 17 anni nella finale di Wimbledon Junior contro Roger Federer e pensi “questo ha un discreto talento, esploderà”. Dopo tutta la fatica, a fine 2003 lo vedi vincere challenger a ripetizione e pensi nuovamente “Forse è arrivato il momento del salto di qualità”. Lo segui nella sua cavalcata ad Indian Wells nella primavera del 2004 e non puoi far altro che immaginare che la sua consacrazione sia arrivata: 23 anni, un posto tra i top 50 guadagnato e il talento per spingersi ancora più su.
Una carriera che pareva ormai tutta in discesa, quella del georgiano Irakli Labadze.
Facciamo un piccolo salto in avanti nel tempo, ed approdiamo nella primavera del 2006. Lo scenario sono le tribune non esattamente gremite di un circolo in cui si sta svolgendo uno dei tanti tornei challenger; diversi i giocatori che si danno battaglia per un posto al sole in classifica e che ambiscono a ben altra carriera.
Tra di loro balza subito agli occhi un ragazzone dall’aria simpatica, di cui ti stupisce un fisico poco “sportivo”; una volta che entra in campo, tra i mugolii del pubblico che si interroga su come un giocatore con tale stazza possa competere con gli altri virgulti giovani, ecco che tutti i dubbi e le perplessità su chi sia e su quanto valga veramente vengono meno. Un braccio così, visto una volta, non te lo scordi più: Irakli Labadze ha quel merito lì, di farti capire ed innamorare del tennis in una frazione di secondo.
Due anni bui in mezzo, che lo hanno fatto crollare in classifica, nonostante alcuni acuti piazzati qua e là (leggasi Biella 2005). Ma la nostra disamina tenterà di evitare stereotipi sulla scia di triti “Ah, se facesse vita da sportivo, sarebbe top10”, “Se solo mettesse la testa a posto, farebbe bene ovunque”, perché Irakli Labadze è così, genio e sregolatezza allo stato puro, e tutti quanti noi finiamo col venerare questo tipo di giocatori.
Perché non sono superuomini, senza macchia alcuna, perché sono umani e con le loro debolezze: per questo ci sono più vicini e li seguiamo con un affetto particolare.
Come sta succedendo in questi giorni, nel Teatro del Tennis, Wimbledon.
Cominciato il suo personale show la settimana scorsa a Roehampton, località a sud di Londra da sempre sede del torneo di qualificazione, Irakli rischiava grosso già all’esordio: al cospetto di un terraiolo doc, quale è Marc Lopez, il georgiano si trovava sotto 6-3 5-3, dovendo recuperare una situazione complicatissima contro un avversario che incarna la sua Nemesi: la regolarità.
Superato lo scoglio e chiusa la pratica per 6-4 al terzo set, Labadze trovava feeling con i campi in erba, tanto che al turno successivo eliminava sempre in tre set Jeff Morrison, uno che su questi campi ha battuto pure Juan Carlos Ferrero, ed infine centrava la qualificazione ai danni di un altro adepto del serve&volley Kenneth Carlsen.
Ottenuta la qualificazione che gli permetteva di disputare un torneo dello Slam a distanza di un anno e mezzo dall'ultimo (Australian Open 2005), il georgiano si trovava di fronte ad un altro giocatore uscito dal tour de force di Roehampton, l’austriaco Alexander Peya. Il match era altamente equilibrato, e veniva vinto dal georgiano in rimonta (alla faccia della mancanza di atleticità…) per 6-1 al quinto set.
Non soddisfatto, Irakli ha piazzato oggi un colpo niente male, rifilando un 6-4 6-2 6-3 all’argentino Gaston Gaudio, argentino che gradisce poco giocare a Wimbledon, ma che tuttavia non ha un gioco così regolare da essere considerato totalmente un pesce fuor d’acqua.
Il prossimo avversario sarà Mardy Fish, e sarà un avversario sicuramente più ostico dei precedenti.
Ma aver recuperato a questi livelli un giocatore come Irakli è la vera vittoria, per il momento, di questo Wimbledon 2006.
TennisTeen
Luca Brancher