Nellâanno della disfatta di Roddick, lâAmerica scopre Ginepri e Blake
Inserito il 7 settembre 2005 14:09 da Redazione in Il punto
Ho sempre apprezzato molto il tennis americano: questa mia passione nasce ben al di là di caratteristiche puramente tecniche; per quanto mi riguarda, il tennis di oggi ha bisogno di diverse icone, che sappiano fare sport (vincendo, possibilmente) ma allo stesso tempo intrattenere il pubblico. Agassi in passato fu senza dubbio l’emblema di questo aspetto, ma oggi, a quasi 15 anni di distanza da quel terribile ragazzaccio che scendeva in campo con quel mitico pantaloncino di jeans un po’ rovinato, gli USA non hanno ancora un valido ricambio generazionale per il futuro.
La USTA, la federazione statunitense responsabile dell’organizzazione degli US Open e del circuito ad essi annesso detto ‘US Open Series’, negli ultimi anni si è trovata di fronte ad una situazione quasi
imbarazzante sul palcoscenico mondiale. Se è pur vero che il torneo di Flushing Meadows è, tra i quattro dello Slam, quello più ricco e quello che riesce a catturare sempre le attenzioni dei fans, dal punto di vista puramente tennistico gli Stati Uniti hanno faticato non poco a trovare dei giovani che, in qualche modo, potessero sostituire ciò che per quasi 15 anni prima Agassi, poi Sampras, quindi di nuovo l’ex kid di Las Vegas hanno rappresentato per quello che è senza dubbio il Paese più ricco e più sviluppato al Mondo. Da circa 5 anni a questa parte hanno varcato la soglia del tennis di primo piano tre grandi promesse, fino ad oggi rimaste quasi totalmente incompiute. Si tratta di Andy Roddick, vincitore nel 2003 a New York e finalista nelle ultime 2 edizioni di Wimbledon, di James Blake e di Robby Ginepri.

Partiamo con ordine: Roddick è senza dubbio l’icona del tennis maschile americano, ma le sue prestazioni, in particolare negli ultimi 2 anni, hanno posto concrete domande nella mente degli esperti. L’impressione è che il ragazzo sia destinato, suo malgrado, a rimanere per sempre uno dei cosiddetti ‘numeri 2’, vale a dire un giocatore senza dubbio di grande levatura ma al quale la sorte non ha riservato un destino semplice. Il 23enne di Omaha, Nebraska, si trova infatti a giocare in quella che viene ormai definita Era Federer, perché sembra proprio che di questa si tratti. Il campione svizzero ha dimostrato di essere pressoché imbattibile su qualsiasi superficie veloce: l’unico ad essere in grado di impensierirlo è Marat Safin, che se non fosse per il fatto di giocare bene solo 2 settimane all’anno (ed essere comunque un top 5, giudicate voi se è un pregio o un difetto, ndr) potrebbe seriamente impensierirlo per l’ambito trono di numero 1 del mondo. Roddick con Federer vanta un record di 1 vittoria e ben 10 sconfitte, una questione della quale spesso si è parlato invano: il ragazzo americano sostiene infatti di non preoccuparsi più di tanto di questa situazione, ma di scendere in campo pensando solo a fare il suo meglio.
Peccato allora che, in quella che avrebbe dovuto essere l’estate magica della sua rivincita, Mr Roddick abbia collezionato la bellezza di 3 sconfitte contro giocatori fuori dalla top 50 del ranking mondiale, un dato che parla da sé. Eccezion fatta per quella con Ginepri a Indianapolis e quella con Mathieu a Montreal, la più grave è stata senza dubbio quella contro il modesto lussemburghese Gilles Muller al 1° turno degli US Open: una pesantissima batosta di 3 set a 0 maturata in una sera maledetta in cui Roddick non ha saputo contrastare il potere dell’avversario, soprattutto da fondocampo. Andy in conferenza stampa ha dichiarato di non essersi mai preparato così bene per affrontare un torneo dello Slam, ma se questi sono i risultati… Pur volendolo in parte negare a me stesso, credo che Roddick mai come in questo periodo stia toccando il punto più basso della sua carriera agonistica da quando è entrato nei top 10. Il suo gioco, mai come in questo periodo, è parso strettamente legato al servizio, incapace com’è di fare la differenza da fondo: il diritto, che appena 3 anni fa faceva scuola persino ad un tale di nome Roger Federer, non è più un colpo incisivo. Il rovescio è migliorato notevolmente, come del resto la posizione a rete, ma il suo arsenale non è sufficientemente rifornito per poter controbattere uno che, come Federer, risponde sempre e comunque al suo servizio. In mezzo ad un’estate maledetta, Roddick ha trovato un unico lampo: contro Lleyton Hewitt, in semifinale a Cincinnati, quando davvero fu in grado di mettere con le spalle a muro il neo-sposo tennista aussie, che con A-ROD vantava un record di 6 vittorie e 1 sola sconfitta. Molti esperti americani sostengono che l’evidente regresso di Andy Roddick sia essenzialmente dovuto allo split che ha avuto nel novembre dello scorso anno dal coach Brad Gilbert, vecchio volpone pronto a tutto pur di farsi un nome, ma anche e soprattutto grande tattico come difficilmente se ne trovano oggi nel circuito maschile. Le motivazioni della separazione da Gilbert, che fu l’uomo con il quale vinse gli US Open nel 2003 e che portò anche Agassi alla vetta del tennis mondiale, sono ad oggi sconosciute ai più, anche se i maligni sostengono che si sia trattato di problemi economici. Non voglio credere a questa ipotesi per il semplice fatto che, se è senz’altro vero che Roddick guadagna la metà, in termini di prize money, rispetto ad uno come Federer, è altrettanto esatto dire che il ragazzo compensa alla grandissima con degli onerosi contratti pubblicitari che, per sua stessa ammissione, il basilese non vanta: dalla Lacoste ai Rolex, passando per l’American Express e la Lexus, non c’è multinazionale al mondo che non creda nelle straordinarie capacità di marketing di Andy.




In mezzo a tutto questo, l’amicizia: i 3 si ritrovano spesso per tornei e, quando possibile, dividono avventure e camere d’albergo. Per chiudere, una battuta: ma il problema di Roddick è davvero di tipo tennistico o è la Sharapova? Alla prossima!
Andrea Gallina per TennisTeen.it