Davydenko, il peso piuma che non crolla mai
Inserito il 9 aprile 2008 15:56 da Redazione editoriale in Editoriali
Nikolay Davydenko ha 27 anni, uno sguardo da soldatino di plastica e colpi molti potenti. Di quelli che fanno male, senza mandarti al tappeto ma inclinando la tua guardia e le tue certezze. Colpi completi che tutti i pugili, pardon i tennisti, sognano di avere. Non è certo un campionissimo, molti lo considerano uno sparring partner di alto livello perché sa incassare molto bene. Protagonista sino alla semifinale, anche nello Slam, e poi pronto a crollare ma con stile, magari dopo otto-nove riprese, contro Tyson-Nadal, Alì-Federer o Holyfield-Djokovic. Cintura all’avversario, tanti applausi allo sconfitto e una bella borsa piena di dollari come premio di consolazione.
Del resto, la sua vita assomiglia a quella di un pugile indeciso tra la gloria perenne e la polvere del fondo ring. Quante volte lo abbiamo dato per spacciato, inchiodato nell’angolo dai colpi degli “avversari” che lo prendevano a cazzotti non solo sul campo, ma pure fuori…?
Il 2007 sembrerebbe essere stato l’anno nero del russo: risultati e prestazioni poco entusiasmanti, lo scandalo scommesse che ne ha infangato la reputazione, episodi vergognosi come il warning per scarso impegno inflittogli dal giudice di sedia a San Pietroburgo. Le autorità indagavano sui suoi movimenti e nella sua sfera privata, e intanto i colleghi mettevano seriamente in dubbio la sua professionalità. Alzi la mano chi non ha avuto almeno un piccolo sospetto sulla condotta di vita del “cyborg” russo. Eppure il pugile è rimasto in piedi. Esausto, provato, costretto all’angolo e a cercare il contatto con l’avversario per non incassare il colpo del ko. Ha barcollato, Davydenko, ma non è crollato. Anzi, ora medita il colpaccio dopo aver passato indenne la ripresa più dura.
Si pensa che sia un freddo calcolatore, un uomo di ghiaccio, e forse è vero. Però i numeri dicono ormai che si tratta inequivocabilmente di un grande giocatore. Non è un caso che dal 23 maggio 2005, quando entrò fra i primi dieci della classifica mondiale, non vi sia più uscito. Era numero 7, oggi è al quarto posto dietro i tre “mostri” Federer, Nadal e Djokovic. Gente che, sia chiaro, ha nelle braccia (e nei polsi) un tennis superiore. Però il primo fra gli umani è proprio lui, il russo che non molla mai, che lavora l’ avversario con i suoi “jab” di rovescio, che magari non ha il colpo del knock out ma vince regolarmente ai punti (Davydenko è stato anche numero 3 nel 2006, prima dell’avvento di Novak “The Djoker”, e vanta 12 titoli Atp).
Prendiamo a esempio la stagione scorsa, che dome detto è opinione comune associare al suo periodo più nero da quando è fra i top player. Se andiamo a leggere i risultati, scopriamo: un solo torneo vinto, a Mosca, semifinali a Roland Garros e Us Open, Roma, Cincinnati, Doha e Rotterdam, più un quarto in Australia. Non è affatto male, anzi. Quattro semi fra i tornei più importanti significano saper sfruttare i propri corridoi di tabellone, perdendo di rado contro pronostico. Nel tennis moderno, caratterizzato soprattutto da muscolarità e potenza, la regolarità è senz’altro una virtù. E il russo ne è il migliore interprete.
Il suo 2008 è iniziato alla grande. L’inchiesta sulla condotta nel caso scommesse dovrebbe chiudersi presto senza conseguenze. Di riflesso, i risultati sul campo sono migliorati. Semifinale a Doha e Dubai, vittoria a Miami - suo secondo Master Series dopo Bercy 2006 - dove ha messo in fila Ancic e Tipsarevic, Roddick e Nadal. Qualche rimpianto l’ha il nostro Bolelli, che non ha sfruttato l’occasione concessagli quando Daydenko (era il terzo turno, ndr) ha abbassato per un attimo la guardia. La boxe, pardon il tennis, è questo: un batter di ciglia che sposta l’equilibrio fra ciò che poteva essere e ciò che è stato.
A 27 anni suonati Davydenko non ha certo intenzione di mollare la presa e cedere ai più giovani. Si sente ancora competitivo, e non sbaglia. Presto potrebbe anche avere una chance per il titolo mondiale, cioè per trionfare in uno Slam. Il russo ha raggiunto il penultimo atto in tre prove su quattro, venendo respinto soltanto da Wimbledon per comprensibili ragioni tecniche. Non ci stupiremmo se presto arrivasse la sua occasione. Prima o poi l’incontro della vita capita a tutti. Ci sarà una borsa miliardaria, è vero, e l’unico pericolo è lasciarsi abbagliare dal denaro accontentandosi di essere solo un ben remunerato sparring partner. Ma di Davydenko possiamo fidarci. Siamo pronti a scommetterci.
Stefano Bolotta