Il nazionalismo, il tifo contro e la cultura sportiva.
Inserito il 19 marzo 2008 22:25 da Redazione editoriale in Editoriali
Interessante editoriale del nostro Roberto tutto da leggere.
Ieri sera guardavo in tv il derby francese fra Jo Wilfred Tsonga e Paul Henry Mathieu. Un gran bel match, giocato a livello molto alto, da due giocatori che si conoscono bene, che si allenano spesso insieme, che se le sono date di santa ragione per due intensissimi set, giocando entrambi molto vicini al loro livello di massimo rendimento. Scambi fantastici, spettacolari. Il tutto con una assoluta cavalleria, lealtà e correttezza. In entrambi i giocatori, pur nella tensione agonistica, si notava una specie di allegria, una sorta di orgoglioso, narcisistico autocompiacimento tutto francese. Era come se pensassero, dopo ogni scambio spettacolare: “stiamo facendo vedere al mondo di cosa siamo capaci noi francesi”. L’equivalente tennistico di una parata militare.
E questo, faceva passare quasi in secondo piano l’esito del match. Ha vinto Tsonga, ma soprattutto ha vinto la Francia. E non è retorica, è la verità. Ed è la loro forza. Proprio questo stato d’animo, questo monolitico senso di appartenenza e di coesione nazionale, è probabilmente alla base dei grandissimi risultati ottenuti dalla scuola francese negli ultimi anni, sia a livello maschile, sia a livello femminile. Un solo dato: nel tabellone maschile di IW c’erano la bellezza di 14 francesi su 96 giocatori.
Ieri sera, mentre Tsonga tirava un magnifico smash in salto, mi sono ritornate in mente tutte le squallide discussioni che si fanno da noi fra i tifosi di questo o quel giocatore. Mi sono venute in mente le squallide partite che quasi sempre escono fuori quando (purtroppo o per fortuna raramente) due nostri giocatori si affrontano nel tabellone principale di un grande torneo: tensione enorme. Qualità del gioco pessima. Rivalità fortissima, viscerale. Tifosi pronti a scannarsi per l’uno o per l’altro.
E' il termometro di una situazione in cui l’individualismo connaturato al tennis si mette a sistema con l’individualismo egoistico proprio della nostra cultura nazionale, producendo effetti perversi: ognuno che va per conto suo, assoluta incapacità di fare “squadra”, fronte comune, di mettere a sistema conoscenze, abilità, risorse. Ne ho viste tante. Il punto più basso fu probabilmente la lite furibonda, tanti anni fa al Foro, fra Pistolesi e il napoletano Cierro, ma ci sono stati mille altri tristi episodi.
In genere, in Italia, noi tifosi e appassionati quando vediamo queste cose e ci paragoniamo alla Francia abbiamo 2 tipi di reazioni: la prima è ovviamente quella di crepare di invidia per i nostri cugini d’oltralpe. La seconda, è quella di sparare a zero sulla nostra Federazione, sul nostro sistema tennis, sui nostri giocatori, coach, tecnici, etc., etc.,
Ma noi tifosi, noi appassionati, siamo sicuri di essere migliori, e di meritare risultati diversi?
Un movimento tennistico è un corpo complesso, nel quale sono presenti tantissime componenti. I giocatori, certo, la Federazione, certo. I tecnici, certo. I preparatori atletici. La stampa specializzata, i media. Poi, però, arriviamo noi: gli appassionati, i praticanti, i tifosi, che di questo movimento costituiscono (costituiamo) la base, il tessuto connettivo. Il comportamento e la cultura sportiva dei tifosi costituiscono una variabile importante nel determinare la qualità complessiva di un movimento.
Ebbene, non solo sul campo, anche da questo punto di vista il confronto fra noi e i nostri cugini è drammaticamente perdente. A Parigi, basta uno come Thierry Champion (tutt’altro che un campione, a dispetto del nome), che sta lì su un campo secondario del Roland Garros, a lottare allo spasimo contro un qualsiasi altro semisconosciuto giocatore straniero, nel primo turno delle qualificazioni, ed ecco che dietro di lui, a sostenerlo, acriticamente, finché dura il match, c’è tutta la Francia. E i derby sono vissuti come una festa, una passerella, con la folla che incita entrambi i contendenti. Perché vincerà la Francia, e quindi vinceranno tutti.
Da noi, no. Noi da sempre siamo il paese dei dualismi, delle lotte intestine, delle rivalità feroci, delle faide distruttive, fino all'autolesionismo. Guelfi contro Ghibellini, Bianchi contro Neri, Contrada dell’Oca contro Licorno, Roma contro Milano, Medici contro Visconti, Gonzaga contro Malatesta. Nessuno che pensa al bene comune, e lo straniero a spartirsi le spoglie.
Nello sport, e ancora più nel tennis, non facciamo eccezione: Coppiani contro Bartaliani, supporter di Mazzola contro fan di Rivera, Delpierofili contro Tottiani. Nel tennis, è forse peggio: dai seguaci di Panatta che avrebbero volentieri impiccato il soldatino Barazzutti, a un campionato a squadre di serie A che quasi finisce in rissa, giù giù fino a noi, ai Forum internettiani in cui la gente si divide tra i pro-Bolelli e i filo-Fognini…
E così sprechiamo tesori di energie, ogni mezzo diventa buono per dimostrare che il nostro beniamino è migliore, è il più forte, e l’altro azzurro è una mezza calzetta. E si arriva ad esultare per le sue sconfitte, si parteggia apertamente per l’avversario, si litiga, ci si accapiglia, incapaci di riconoscere il vero antagonista, il vero avversario. Che tristezza.
Tanti anni fa, nel 1527, i feroci Lanzichenecchi transitavano per la pianura padana, decisi a muovere contro Roma. Il Principe d’Este, Duca di Parma, Modena e Ferrara, aveva promesso al Papa (uno degli odiati Medici) che no, i Lanzichenecchi non li avrebbe fatti passare per il ponte fortificato sul Po, che se ne stesse tranquillo. E mentre con una mano scriveva quella lettera, con l’altra incassava l’oro dell’Imperatore di Germania, aprendogli le porte. Roma al saccheggio, tedeschi trionfanti, e gli italiani, sleali, traditori, vili, servi, senza onore, al ludibrio del resto d’Europa, indegni del rispetto altrui, non meritevoli di essere una nazione…
Quando impareremo ad unire le forze?
Iniziamo noi, i tifosi, gli appassionati, la base, a fare la nostra parte.
Roberto Commentucci