I giovani volano, gli italiani non salzano dalla terra
Inserito il 21 febbraio 2008 22:02 da Redazione editoriale in Editoriali
Il nostro Stefano ci delizia con un altro editoriale da non perdere.
Alexandre Pato, baby fenomeno attaccante del Milan, a soli diciotto anni è stato pagato oltre venti milioni di euro. E’ considerato una delle più forti punte dei prossimi dieci anni. Leo Messi, il nuovo Maradona del Barcellona, a 21 anni è ormai un veterano, tale è la sua esperienza a livello internazionale. Alcuni assi del basket professionistico americano non finiscono nemmeno il college, vengono selezionati dalle high school e gettati nella mischia fra i giganti, dimostrando di poter già fare la differenza (un esempio su tutti, “King” Lebron James).
In Italia, tutto questo, non accade.
Soprattutto gli sport di squadra hanno insegnato, da noi, che gli interessi economici mal si sposano con il rischio di bruciare i migliori talenti; ciò suggerisce una maturazione tardiva e spesso il cattivo costume di affidarsi ad acquisti “esotici”, pagandoli magari una fortuna e non sempre azzeccando l’investimento. L’italico timore di dare spazio ai giovani è confermato, ahinoi, da ciò che avviene nel circuito professionistico. I nostri virgulti migliori sono costretti ad affrontare i circuiti juniores sino a 19 anni suonati, vedi i vari Trevisan, Fabbiano e Lopez oggi, ma non mancherebbero gli esempi nel passato, da Bracciali a Sciortino ecc. Colpa di una Federazione “cieca”, che accorcia loro la carriera e non consente di familiarizzare con i tornei maggiori, sfidando e magari prendendo batoste propedeutiche dai giocatori più forti. All’estero ciò non avviene, basti prendere ad esempio Kei Nishikori, non ancora 19enne e fresco vincitore del torneo Atp di Delray Beach, piuttosto che Donald Young, nel circuito sin da bambino e finalmente ora fra i Top 100.
I nostri alfieri più giovani e in rampa di lancio sono Simone Bolelli e Fabio Fognini. Il primo ha 22 anni, il secondo ne compirà 21 a maggio. Due talenti che a nostro giudizio – e non solo – potevano sfondare (a livello di ranking) già da un paio d’anni. Hanno l’età di tennisti che sono già fra i primi venti della classifica, se non addirittura top ten. Sia chiaro, nessuno dei due è un fenomeno, ma con pazienza e lungimiranza possono diventare ottimi giocatori in grado di salire molto in alto.
La programmazione in passato, però, non li ha aiutati. Fabio Fognini ha stabilito il best ranking questa settimana, salendo al numero 78 dopo le semifinali a Costa du Saipe e i quarti a Vina del Mar. In carriera vanta 12 vittorie e 16 sconfitte nel circuito principale, una percentuale vicina al 43%. L’inizio di stagione è folgorante e di buon auspicio. Fabio continua a giocare sul rosso – lo fa in Sudamerica, lo farà in Europa in primavera - perché più a suo agio. Lo conferma il suo percorso nei tornei challenger: su 100 partite, ne ha giocate addirittura 95 sulla terra! La quasi totalità, con un saldo sì positivo (50-45) ma con una scarsa abitudine a calcare i campi veloci, che si farà sentire non solo quest’anno ma forse nella sua intera carriera. Eppure, i favolosi colpi di rimbalzo di Fognini avrebbero dovuto consigliare a lui e al suo entourage (prima a Fabio Caperchi, ora a Oscar Serrano) una maggiore frequentazione del cemento e dei tappeti indoor. Lo scorso anno, fra l’altro, al Master Series di Montreal arrivò al terzo turno, con scalpi eccellenti. Fabio a 21 anni non ha mai giocato sull’erba, e lo troviamo sinceramente sconvolgente.
Bolelli è numero 66, best ranking 53 a inizio febbraio, in carriera vanta 10 vittorie e 22 sconfitte, una percentuale inferiore a quella di Fognini, poco più del 31%. Però il bolognese ha giocato 16 partite sul cemento, 11 sulla terra, 3 sul carpet e 2 sull’erba. A livello challenger invece 83 match su 128 sul rosso, pari al 63% totale. Un percorso meglio assortito, che gli ha consentito di accumulare esperienze molto positive.
E’ chiaro che le attitudini dei due siano leggermente diverse, perché Bolelli ama le superfici veloci. Ma interpretando le loro statistiche si possono ribadire due concetti: gli italiani giocano troppo tardi e lo fanno davvero troppo sulla terra battuta. Se si vuole costruire una buona classifica, con un rendimento costante, occorre fare buoni risultati sul cemento e anche nei palazzetti, se vogliamo escludere a priori il mese sull’erba. Lo dimostrano i top ten di oggi e del recente passato, e lo hanno dimostrato nel tempo i vari Gaudenzi, Volandri, Starace e Sanguinetti, cui mancavano o mancano tuttora risultati accettabili su alcune superfici.
Un esempio di come si può crescere prima pur non essendo fenomeni assoluti? Ernests Gulbis, lettone di 19 anni attualmente numero 65, dunque davanti a Bolelli e Fognini ma secondo noi almeno di pari valore. Vanta 15 vittorie e 22 sconfitte Atp (40%), solo nelle ultime due settimane Fabio lo ha superato nella percentuale e con ben due anni di ritardo. Quattro vittorie sono giunte sul cemento, altrettante sulla terra, tre sul carpet, mentre le partite già disputate sull’erba sono tre. In tutto, 13 match giocati indoor e 23 al coperto. Nei challenger, 24 sul cemento, 21 sulla terra, 37 sui tappeti indoor. Dunque più varietà, maggiore attitudine, risultati in anticipo. E una lunga e promettente carriera davanti a sé.
Stefano Bolotta